Il famoso detto “centu concas, centu berritas” a volte esprime la ricchezza della pluralità di idee. Più spesso invece viene adoperato con insofferenza, quando non si riesce a metter d’accordo più persone. Sulla panchina di una squadra, al volante o in barca è davvero meglio quando ce n’è una sola di testa al comando, e d’altronde se sbaglia è quella che cade o dovrebbe cadere per prima. Ma in una nazione, come in qualunque assemblea, le cose vanno meglio invece quando altre teste possono confrontarsi con quella del leader; quando c’è compensazione, divisione dei poteri, sana concorrenza, molteplicità di voci, tutela delle minoranze. Il problema è quando c’è una sola conca e quindi una sola berrita. Quale sia il copricapo poi non cambia. Che sia un colbacco o un fez, una corona, una feluca o un miracoloso trapianto, è opprimente se c’è solo quello. A voler adeguare la testa a una sola berrita ci si fa del male ma è umano, perseverare con la stessa non è diabolico, è patetico. Il compianto Giorgio Gaber ironizzava: “Ma come, con tutta le libertà che avete, volete anche la libertà di pensare?” Troppo zelante: chi più della conca ha a cuore la berrita non sa che farsene di certe libertà. Se non coltivata sa conca si secca, calcifica, e può solo risbattere. Come si dice in logudorese: “abba in su pistone pista, abba est, et abba s’istat”.
CENTO TESTE IN UN MORTAIO
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