da godotnews.it marzo 2005
Esce “Pass’e tresi” del giovane talento delle launeddas Andria Pisu. Originario di San Vito, il musicista si presenta al pubblico con un lavoro pregevole nei contenuti, e accuratamente raffinato nel packaging. Una dimostrazione di come, a distanza di tre millenni, il suono della triplice canna può sopravvivere nella modernità
È bello e ricco sotto ogni profilo il cd Pass’e tresi del suonatore di launeddas Andrea Pisu, presentato sabato 5 marzo a Sinnai alla Scuola Civica di Musica “G. Verdi”. Bello per la musica delle launeddas che “incanta e manda in trance” come scrisse una volta il New York Times. Se a suonarle poi è un musicista abile ed espressivo come Pisu, a dispetto dei vent’anni, allora lo strumento a triplice canna sprigiona tutta la sua magia. Ben assortito per varietà di launeddas impiegate (dalla mediana a pipìa a su fioràssiu alla rara simpònia) e per varietà di brani, tre dei quali sono cantzonis con le voci intense di Antonino Grifagno di Sinnai e di Sandrino Pau di Quartu. Bello e all’avanguardia infine per la qualità del packaging, con l’attualissimo progetto grafico di Lisa Ligas e le foto di grande suggestione di Antonio Saba a sottolineare come nelle convulsivanti suites delle launeddas il superantico ed il supermoderno coincidano.
A presentare il cd del ragazzo prodigio di Villaputzu, allievo di Aurelio Porcu, il produttore e direttore artistico Paolo Zedda e l’etnomusicologo e fonico Marco Lutzu.
“Tre sono le canne delle launeddas, tre i millenni di vita dello strumento, ternaria è pure l’accentazione musicale” ha detto in un campidanese elegante Paolo Zedda spiegando il titolo “Pass’e tresi”. “Circa la metà di tutto il repertorio nazionale di etnomusicologia conservato nelle teche Rai – ha aggiunto Zedda – appartiene alla Sardegna, questo aiuta a capire la portata del nostro patrimonio musicale. Un patrimonio in pericolo di sopravvivenza. Quando una cattedrale crolla fa rumore, quando invece si perde un’espressione culturale, specie se non codificata dalla scrittura, ebbene può succedere che muoia senza che nessuno se ne accorga”.
“Le launeddas in particolare sono una delle forme più alte della nostra tradizione sia per l’antichità sia per il linguaggio. Quello delle launeddas è un linguaggio complesso, tramandato senza l’ausilio della scrittura, quasi contrappuntistico, che si sviluppa per continue variazioni di armonie e accentazioni a partire da un nucleo di base, come nella musica minimalista, con ricchissime fioriture e colore dato dai suoni armonici. Ad esempio è impossibile individuare con un accordatore o un frequenzimetro la nota fondamentale de su tumbu (la canna che tiene il bordone, ndr) per la ricchezza di suoni armonici emessi”.
“Il livello di tecnica e di precisione stilistica di Andrea Pisu poi è molto elevato. Fa largo ricorso alle chiavi intermedie che danno espressività ed ha una velocità di esecuzione straordinaria. Nel cd c’è un ballo a fiudedda, strumento virtuosistico raramente suonato, e ancora più raramente suonato così bene. Poi un ballo a simpònia antichissimo e poco adoperato dalle ultime generazioni di suonatori di launeddas: nessuno dei viventi le suona, per esempio. E poi il canto campidanese (nel cd un mutetu frorìu, una canzoni a curba e una canzoni a torrada) che non si sentiva, accompagnato dalle launeddas, da almeno quarant’anni, dai tempi del materiale raccolto da Bentzon”.
Marco Lutzu, nella doppia veste di etnomusicologo e di fonico, spiega: “In genere i giovani quando si avvicinano a forme della tradizione vengono caricati di responsabilità che rischiano di generare timore e diffidenza verso lo strumento. Andrea invece ha molta confidenza con le launeddas e molta disinvoltura. Ha grande curiosità musicale, ma allo stesso tempo ha grande conoscenza e grande rispetto per la tradizione. Sembrerà che voglia portare acqua al mio mulino, dato che sono uno dei titolari del Live Studio dove il cd è stato registrato, ma il livello qualitativo della registrazione digitale mi sembra elevato”.
“Andrea Pisu è iscritto al corso di etnomusicologia inaugurato al Conservatorio, e nel cd c’è il repertorio tradizionale delle launeddas e l’energia del ventenne. Gli piace esplorare e sperimentare, ma qui, dato che è la sua prima incisione, ha voluto affrontare l’estensione del repertorio tradizionale delle launeddas”. Lutzu poi racconta un aneddoto che sottolinea il rispetto di Andrea Pisu per i grandi suonatori del passato. “Una volta lo riaccompagnavo a casa in macchina, stavamo attraversando il quartiere della Marina, dove visse Efisio Melis, considerato da molti il più grande suonatore di launeddas del secolo scorso. “Lo sai – gli dissi – che quando Efisio Melis abitava a Cagliari, viveva qui, al numero 10 di via Barcellona?” Dopo ho saputo che Andrea era riuscito di casa, aveva riattraversato mezza città a piedi di notte per vedere il numero 10 di via Barcellona da vicino e respirare l’aria che respirò Melis”.
Da parte sua Andrea Pisu suona le launeddas come fosse la cosa più naturale del mondo. Oltre che di una grande espressività musicale Pisu è dotato di una sicura presenza scenica, invidiabile per un ventenne, va riconosciuto. Come talvolta si osserva nei grandi strumentisti della musica colta, del jazz o del rock, Pisu dal vivo suona con scioltezza e dà l’impressione di essere un tutt’uno con lo strumento. Non c’è virgolettato di Pisu in questo articolo: di poche parole, schivo, non dice più del necessario. E non ne ha bisogno. Il linguaggio con cui si esprime al meglio e che lo rende unico non passa per le parole ma per le launeddas.
Paolo Maccioni