A passo di Tango (di Valerio Caddeu)

A passo di Tango
Posted on 13 gennaio 2012
Avevo sedici anni la prima volta in cui ebbi il desiderio di imparare il tango. Mi affascinava il fatto che sembrasse qualcosa di molto più complesso di un semplice ballo: fateci caso, ogni volta che più coppie ballano insieme, sembra che ognuna segua un proprio ritmo interno, qualcosa di molto intimo e carnale. E io sto lì, a valutare la precisione e la grazia criminale di ogni passo (S. Benni).
Ieri a Ozieri, al Café Noir, c’era il reading musicale del libro Buenos Aires troppo tardi di Paolo Maccioni. Conosco Maccioni grazie alla rubrica che teneva sui quotidiani del gruppo EPolis, “Pista prioritaria”, in cui rileggeva notizie attuali attraverso giochi di parole e tecniche di enigmistica, per cui ne apprezzo lo stile e le capacità pur non avendo mai letto un suo romanzo. In ogni caso la sua rubrica e quella di Chicco Gallus erano il motivo per cui leggevo quel quotidiano.
La serata si apre col tango, e subito il relatore Dario Cosseddu cita Carlos Gardel. Qui mi suona subito in testa Madreselva, e mi scorrono in mente le immagini di Il Postino, il primo film tra i pochi che mi hanno fatto piangere al cinema. Ma non basta, perché  Gavino Fonnesu e Antonio Pitzoi suonano una bellissima versione di Libertango. Ma allora lo fate apposta! Insomma, Buenos Aires iniziava a conquistare la sala, illustrata dalle foto che Paolo stesso ha fatto e che scorrevano su uno schermo.
Buenos Aires troppo tardi è un romanzo che racconta l’Argentina e la sua capitale nel XX Secolo, da quando era una potenza commerciale che attirò migliaia di nostri connazionali (italiani e sardi) in cerca di lavoro e di futuro, fino alla violenza spietata e subdola della dittatura militare, che in nome di interessi economici esteri e per mano di una giunta militare senza scrupoli ha privato una nazione delle menti migliori, quelle più libere, facendo sparire nel nulla 30.000 persone e macchiandosi di colpe incancellabili, fino alla democrazia restituita, capace solo di condurre il paese al fallimento del 2001.
Da quello che è emerso durante il reading, nel libro si racconta come la femminilità sia la grande risorsa di Buenos Aires e dell’Argentina, e la sua massima espressione sono le Madres de Plaza de Mayo, quelle che scendevano in piazza con le foto dei mariti e dei figli scomparsi per mano del regime, in silenzio e pacificamente. Nella mia testa ho sentito They dance alone, ma non l’hanno suonata.
Istintivamente ho collegato il riferimento alla femminilità al fatto che gli argentini abbiano scelto e poi riconfermato alla guida del paese una donna, Cristina Kirchner, proprio nel momento in cui bisognava risollevarsi dal fallimento. Chissà se anche Maccioni ha fatto lo stesso ragionamento.
Ora non mi rimane che la lettura, e magari chissà, un viaggio, a scoprire i luoghi raccontati in queste pagine, sulle orme di chi ha difeso la sua patria “senza speranza di essere ascoltato, con la certezza di essere perseguitato”, come ha scritto Rodolfo Walsh nella lettera aperta d’accusa al regime che fu la sua condanna a morte. Un viaggio per imparare come i figli e i nipoti dei nostri emigranti hanno fatto a rialzarsi e riprendere i passi del tango, dopo aver conosciuto il peggio dell’uomo e della storia.


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