ARGENTINA. TRENTENNALE DEL SEQUESTRO ALLA IGLESIA DE SANTA CRUZ DI BUENOS AIRES
8 dicembre 1977 – 8 dicembre 2007
“un terrorista non è solo colui che tira una bomba o possiede una pistola,
ma anche colui che diffonde idee contrarie alla civiltà cristiana occidentale”.
(Jorge Rafael Videla, dittatore argentino)
In una piazzola nel quartiere Villa Luro, in una zona di Buenos Aires fuori dagli itinerari dei caffè e dei siti letterari, c’è una targa: “Hermana Alice Domon y Hermana Léonie Duquet”. Nel 2000 la Legislatura della Città di Buenos Aires ha intitolato loro questa piazzola.
Alice Domon e Léonie Duquet: due suore francesi che facevano parte della congregazione delle Missioni Straniere. L’8 dicembre 1977 Alice ed altre otto persone furono sequestrate da un commando di patotas mentre stavano uscendo dalla chiesa di Santa Cruz, dove avevano preso a riunirsi le Madri dei desaparecidos, quando la loro associazione era ancora agli albori. Nelle ore successive vengono sequestrate anche Léonie ed altri due familiari di desaparecidos, per un totale di dodici persone. Dodici dei trentamila esseri umani fatti scomparire dalla dittatura argentina 1976-1983 capeggiata dal triumvirato di alti ufficiali Videla, Massera (tessera P2 n. 478) e Agosti.
Léonie Duquet era arrivata a Buenos Aires nel 1949, Alice Domon solo nel 1966. Léonie insegnava catechesi nel collegio Sacro Cuore di Morón, ma prima aveva viaggiato all’interno del Paese prestando la sua opera presso comunità indigene e di campesinos. Alice invece faceva lavoro sociale con gli abitanti delle villas miserias, quelle che noi chiamiamo bidonville. Nel 1971 si stabilì a Corrientes per dare il suo aiuto nella formazione delle Leghe Agrarie: organizzavano i piccoli produttori di cotone. Non appena i militari prendono il potere, ecco che i suoi amici e conoscenti cominciano a scomparire. Così la religiosa si reca a Buenos Aires per reclamare la loro scomparsa e si imbatte nelle Madri di Plaza de Mayo. A Morón, dove si stabilisce, conosce Léonie, che così inizia a legarsi pure lei al movimento dei diritti umani che allora stava cominciando a formarsi.
La Duquet fu vista per l’ultima volta insieme alla Domon nel centro clandestino di detenzione e tortura dell’Escuela de Mecánica de la Armada, la famigerata Esma. Una sopravvissuta della Esma, Graciela Daleo, ricorda quando arrivarono alla Esma. “Eravamo rinchiusi, ma ci accorgemmo dell’arrivo di altri, sentimmo il rumore delle catene”. Due giorni dopo, mentre lavava i piatti, Graciela Daleo conobbe una signora anziana, stava seduta e incappucciata ed aveva segni di tortura. In seguito seppe che era Léonie. Tutte loro, le suore e le altre, erano state caricate su uno dei famigerati voli della morte… Ora si sa con certezza a cosa si riferivano i militari quando parlavano delle “suore volanti…”
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È uscito anche in Italia il libro “Il volo” di Horacio Verbitsky (Feltrinelli): l’ufficiale Alfredo Scilingo si confessa al grande giornalista argentino. Era impossibile che nessuno di quegli aguzzini, quanto meno a distanza di tempo non provasse rimorso, pena, disgusto per il proprio passato atroce. Scilingo vuota il sacco sui voli della morte. I sequestrati venivano caricati su aerei militari e fatti cadere nelle acque dell’oceano, o del Río de la Plata, o del Riachuelo.
È grazie a quel libro che si è rimosso il velo sui voli della morte. Tutti i quadri della Marina, a turno, prendevano parte ai voli. Durante il primo, Scilingo scivolò e per poco non cadde dallo sportello insieme a uno dei corpi nudi. Fu probabilmente allora che “dentro di lui si ruppe il meccanismo militare di spersonalizzazione e disumanizzazione”: per la prima volta il boia si mise nei panni della vittima e “gli riuscì di vedere il nemico come un essere umano” (p.122). Scilingo racconta che i cappellani militari confortavano gli assassini dicendo loro che in fondo quella era una morte cristiana, non traumatica, e che perfino la Bibbia prevedeva l’eliminazione dell’erba cattiva dai campi di grano.
Una settimana dopo il sequestro, la Nación pubblica una notizia d’agenzia con il titolo “Vive e in buona salute”. La Madre Superiora della Congregazione – si leggeva – dichiarava dalla Francia che le sorelle Léonie e Alice erano state detenute e che si trovavano vive e in buona salute. Veniva anche chiarito che l’informazione proveniva dal Nunzio apostolico in Argentina, Pio Laghi, del quale si riparlerà. Documenti segreti del governo degli Stati Uniti, declassificati nel 2002, provano che il governo statunitense era a conoscenza già dal 1978 che i cadaveri di Azucena Villaflor, fondatrice delle Madri di Plaza de Mayo, e delle madres e attiviste Esther Ballestrino, María Ponce, della suora Léonie Duquet e delle altre sequestrate erano stati ritrovati sulle spiagge argentine. Un’informazione che fino ad allora fu mantenuta segreta e non fu mai comunicata al governo democratico argentino.
Questo dato è contenuto nel documento (n. 1978-BUENOS-02346) redatto dall’allora ambasciatore degli Stati Uniti in Argentina Raúl Castro, per il Segretario di Stato degli Stati Uniti e porta la data 30 marzo 1978. L’oggetto del documento è “Rapporto sulle suore morte” e testualmente afferma: «1. A.F.P. Marzo 28 Historia recopilada en Paris rende noto che i corpi di due monache francesi, che furono sequestrate a metà dicembre con altri attivisti di diritti umani, sono stati identificati tra i corpi delle vicinanze di Bahía Blanca.»
La nazionalità francese delle due suore generò uno scandalo internazionale, specialmente con la Francia. Per questa ragione, il Capo della Marina e membro della Giunta Militare Emilio Massera (tessera P2 numero 478) ordinò di simulare che entrambe le monache fossero state sequestrate dalla guerriglia dei montoneros. Alice Domon fu obbligata sotto tortura a scrivere una lettera alla sua superiora della congregazione, lettera che fu scritta in francese, spiegando che erano state sequestrate da un gruppo oppositore al governo di Videla. In seguito furono scattate delle foto nelle quali si vedono le due religiose sedute davanti a una bandiera di Montoneros e ad una copia del giornale La Nación. La foto, che mostra le due suore con apparenti segni di tortura, era stata scattata nello stesso posto in cui erano state torturate: nel sottosuolo del Casinò Ufficiali della ESMA, e fu inviata alla stampa francese.”
Nella chiesa di Santa Cruz (quartiere San Cristobál, ai confini col quartiere Boedo) ogni 8 dicembre si ricorda l’anniversario del sequestro e della scomparsa delle madres di Plaza de Mayo attiviste dei diritti umani e delle due monache.
La facciata austera e serena, le piante che circondano la chiesa… niente lascerebbe intendere che trent’anni fa proprio qui si fosse consumato il primo passo di un piano barbaramente e cinicamente premeditato. Una vicenda esclusa dagli itinerari.
Un testimone, detenuto anche lui alla Esma, dice di aver parlato con la suora Alice. Gli raccontò di essere stata sequestrata in una chiesa, insieme ai familiari dei desaparecidos. Le sorelle erano molto provate e deboli, dicono che per portare in bagno sorella Alice c’era bisogno del sostegno di due guardie. Le chiese se era stata torturata e gli rispose affermativamente: l’avevano legata a un letto completamente nuda e le avevano applicato la picana in tutto il corpo; inoltre raccontò che in seguito l’avevano obbligata a scrivere una lettera alla Superiora della sua Congregazione, in francese e sotto tortura, e successivamente avevano scattato una foto ad entrambe, sedute vicino ad un tavolo. Le foto furono scattate il sotterraneo del Casinò Ufficiali. Le sorelle rimasero all’ESMA all’incirca dieci giorni, torturate e interrogate.
Dopo la detenzione alla Esma, furono poi gettate in uno di quei voli della morte di cui abbiamo accennato, assieme alla fondatrice delle Madri de Plaza de Mayo ed altri familiari di desaparecidos. Per la scomparsa delle due religiose la Corte di Assise di Parigi condannò all’ergastolo nel 1990 l’ex capitano di fregata Alfredo Astiz. Il militare si era infiltrato nel gruppo delle Madri fingendosi fratello di una desaparecida e per mesi partecipò alle riunioni nella chiesa. Il segnale convenuto per indicare agli agenti della Marina chi tra di loro avrebbe dovuto morire fu un bacio. Tutte le persone presenti quel giorno alla riunione furono arrestate.
“I politici e i militari dell’epoca mentirono e macchiarono il nome di Léonie e Alice” disse la superiora Logerot. “Dicevano che fossero andate in Messico a esercitare la prostituzione, come disse il ministro dell’interno Albano Harguindeguy. Astiz fu condannato in contumacia in Francia e non credo che l’Argentina lo consegni al governo francese. Ma se lo condannano e lo lasciano in carcere sarà ancora più importante che consegnarlo ad un altro paese. È la forma migliore di giustizia e di insegnamento, rafforza la memoria perché la storia non si ripeta”. Così dice la superiora. Oggi Astiz, l’“Angelo Biondo”, è detenuto in una base navale di Zárate e sottoposto ad un trattamento per un cancro.